E linteresse privato prevalse sul pubblico
Scelte
politiche e scelte urbanistiche: la punta delliceberg
NICOLA
COLAIANNI * (3 gennaio 2001)
Se gli interventi dei consiglieri comunali costituissero parte integrante
della motivazione, quella sul p.p.a. sarebbe al modo di alcune sentenze
una delibera suicida. Stando a quanto riportato dalla stampa, a parte
il sindaco, et pour cause, anche la maggioranza è in fondo contraria
e ha approvato, sè spinto a dichiarare qualcuno, per dovere.
Quale dovere non è chiaro viste le accuse di trascuratezza dei
problemi di traffico, verde, servizi, e anche di favoritismi: non, evidentemente,
per aver inserito terreni ma per aver dovuto comunque scegliere alcune
zone al posto di altre (ed è opportuno individuarne i proprietari
per chiarire collegamenti lobbistici e interessenze private, sempre in
agguato) e, prima ancora, lespansione (di una irreale città
di 630.000 abitanti tra dieci anni) anziché la riqualificazione
ed il riuso, che secondo Pierluigi Cervellati avrebbe potuto ridonare
a Bari limmagine di una "città bella".
Fattè che il centrodestra torna ad approvare un p.p.a. in
linea con le scelte urbanistiche delle diverse amministrazioni precedenti
(negli anni sessanta aspramente criticate dallallora consigliere
Tatarella), secondo cui come osservava quasi ventanni fa Marcello
Petrignani in Bari di Laterza i criteri seguiti "vennero interamente
orientati a favorire le proprietà fondiarie ed edilizie".
Il centrosinistra, daltro canto, nonostante gli strenui 8 consiglieri
residuati in trincea, non riesce per le vistose defezioni e numerose assenze
(un copione purtroppo già visto in altri snodi decisivi come i
PRUSST) a fugare limpressione che in questo settore lazione
di contrasto non è mai stata di livello adeguato: se è vero
che in passato, anche quando le varie giunte vararono interpretazioni
"stravaganti" delle norme edilizie, come quelle del cosiddetto
"attico a filo" (invenzione per cui gli edifici del murattiano
a otto piani superano di quasi due metri laltezza massima di 26
metri anche in strade larghe la metà di corso Vittorio), "le
opposizioni le accettarono".
Questo è il giudizio di Domenico Di Bari in un libro, edito qualche
mese fa dallEcumenica, dal titolo «La città fuori legge»,
che documenta appunto le tante illegalità compiute in questo mezzo
secolo, a cominciare dalla ricostruzione dellisolato distrutto dalla
guerra, al cui interno per sistemare lampio salone della banca Commerciale
si coprì lintero spazio che a norma degli statuti di Gioacchino
Murat doveva essere lasciato a giardino o comunque "scoverto":
un abuso che diventò poi la regola, privando il quartiere dei giardini
interni e peggiorandone la qualità della vita e del paesaggio.
Una scelta continuata senza meno anche nelle zone di espansione (di qui
la facile previsione per quelle interessate dallultimo p.p.a.) e
perfino di fronte allelemento caratterizzante la città e
la sua cultura (il lavoro, il patrono
): il mare, costruendosi senza
scrupoli a distanza inferiore a quella legale.
Punta Perotti è diventata il simbolo di questa illegalità.
Non parlo di quella penale, ma di quella politicoamministrativa, per cui
si sono approvate deroghe con leggi regionali, progetti anche in mancanza
del parere obbligatorio del comitato urbanistico regionale fino alla famigerata
"rotazione" dei fabbricati allo scopo, impudentemente dichiarato
e colpevolmente non contrastato in commissione comunale, di far godere
ai proprietari di Punta Perotti la vista della città vecchia. Un
interesse privato viene assunto a base di una delibera in luogo dellopposto
interesse pubblico, della generalità delle persone, a godere della
vista di un orizzonte, libero e non chiuso da una saracinesca.
La questione urbanistica non è che una punta (laltra, ovviamente,
è la criminalità violenta) delliceberg dellillegalismo
diffuso, cui partecipa anche la politica con il suo volto ordinario di
sopraffazione e clientelismo, di sostituzione del favore alla legge. Ciò
provoca fenomeni di pericolosa assuefazione o di spaesamento: nel senso
letterale di una fuga dalla città appena possibile, ma anche di
una dimissione dalla identità collettiva barese, di una perdita
delle coordinate del vivere bello e civile.
* Magistrato di Cassazione
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