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Spunta un nuovo ricorso
tra pochi giorni si decide

MARA CHIARELLI (4 gennaio 2001)

In tre pagine altri nuovi motivi per annullare la sentenza di appello nel processo Punta Perotti. Li potrebbe presentare nei prossimi giorni alla Cassazione il procuratore generale del tribunale di Bari, Riccardo Dibitonto che il 28 ottobre scorso, fece ricorso per ottenere l’annullamento della sentenza di secondo grado e il rinvio del processo dinanzi a una nuova sezione della Corte di appello.
Il procuratore ha, infatti, facoltà di integrare il suo ricorso con i cosiddetti «motivi aggiunti» fino a 15 giorni dalla data dell’udienza, fissata per il 29 gennaio dinanzi ai giudici romani. Entro il 14 gennaio, quindi, potrebbe sottoporre all’attenzione della Suprema Corte un punto, non contenuto nel suo ricorso, ma riportato in quello delle associazioni ambientaliste Legambiente Onlus e Legambiente regionale pugliese, costituitesi parte civile nel procedimento.
Il motivo in questione riguarda una parte dei reati edilizi, contestata agli otto imputati (i costruttori Michele e Vincenzo Matarrese, Domenico Andidero e Antonio Quistelli, i progettisti Domingo Sylos Labini e Luigi Bergamasco, i direttori dei lavori Michele junior e Salvatore Matarrese) nel processo di primo grado.
Gli ambientalisti, rappresentati dal professor Giuseppe Spagnolo, fanno notare che alcune violazioni urbanistiche, rilevate anche dai pubblici ministeri di primo grado Ciro Angelillis e Roberto Rossi, non sono state impugnate dagli imputati per il processo di appello, al termine del quale gli otto sono stati assolti con formula piena e il complesso edilizio da 300 mila metri cubi restituito ai proprietari, dopo l’iniziale confisca. Ritengono, quindi, che quella parte della sentenza di primo grado, emessa il 10 febbraio ’99 dal gip Maria Mitola, sia ormai passata in giudicato. Al termine dell’udienza, celebrata con rito abbreviato, il gip Mitola assolse gli imputati per mancanza di dolo, ma dispose la confisca dell’immobile.
Legambiente quindi si unisce al procuratore generale e al ministero dell’ambiente e dei beni culturali (rappresentato dall’avvocato Pio Marrone), chiedendo la riapertura del processo di appello e, in tal caso, la conferma della sentenza di primo grado. «Da parte nostrachiariscono i legalinon c’è alcun accanimento nei confronti della famiglia Matarrese e degli altri imputati. Ci interessa solo evitare che Punta Perotti diventi il punto di partenza per un’urbanizzazione selvaggia lungo la costa barese».
Ma quali sono queste violazioni urbanistiche? «Innanzitutto il mancato rispetto del rapporto tra la volumetria edificabile e l’area disponibilesi legge nel ricorsoPoi una trasformazione urbanistica e la modifica di aspetto e sagoma, in totale difformità e, comunque, in variazione essenziale rispetto alla concessione edilizia del 19 gennaio ’95. Infine il mancato rispetto del parametro relativo alla superficie minima di 50 mila metri cubi previsto dal piano regolatore generale del Comune di Bari».
La Corte di appello, spiegano i legali, «avrebbe dovuto confermare la sentenza di primo grado nella parte non impugnata, dichiarando eventualmente l’insussistenza del fatto limitatamente alle violazioni ambientali». E qualora fosse possibile «pur in assenza di impugnazione sul puntoaggiungonodichiarare di ufficio l’insussistenza del fatto, anche con riferimento alle violazioni urbanistiche, si deve rilevare che manca del tutto la motivazione relativa».
Le tre pagine, che costituiscono la prima parte del ricorso, sono state depositate sabato scorso all’ufficio del Procuratore generale Dibitonto che molto probabilmente deciderà di presentarlo, a sua firma, alla Cassazione. Una copia sarà anche inviata al sostituto procuratore generale che il 29 gennaio illustrerà il caso ai giudici della Cassazione. Legambiente, intanto, oltre alla riforma della sentenza di appello chiede il risarcimento dei danni che, questa volta, non si quantifica in soldoni con tanti zeri, ma nella demolizione della struttura. Quella che in tanti, dal ’97 ad oggi, chiamano «la saracinesca di Bari».

 
 


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