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INTERVENTO/Il sostituto
procuratore antimafia Michele Emiliano
"Io, pm, e le domande difficili di un
compagno di calcetto"
Nel dibattito seguito alla sentenza di appello su Punta
Perotti, interviene il pm antimafia Michele Emiliano. Lo fa con la cronaca di un dialogo
dopopartita, da spogliatoio, fra lui e un "non addetto ai lavori" che si sforza
di capire gli ingranaggi della giustiazia, con domande solo in apparenza ingenue.
Nello spogliatoio mi ha chiesto se era davvero
finita, se davvero non c'era più niente da fare. Ho risposto che io non conosco un gran
ché di quella storia e che, forse, si poteva ancora fare qualcosa. Ho aggiunto che si
trattava comunque di una questione complicata e che non ero meravigliato di come era
andata a finire. Insaponandosi sotto la doccia K. mi ha detto che l'unica cosa pacifica è
che siamo stati umiliati due volte. Perché adesso la nostra città è più brutta e
perché tutti sanno che non sappiamo difenderla. "E voi non siete stati capaci di
rimediare. E sì, è anche colpa vostra", mi dice, "Come può essere accaduto
che l'accusa, dopo aver fatto appello contro l'assoluzione, abbia chiesto il
proscioglimento degli imputati?". Bevendo acqua ghiacciata ed asciugandomi il sudore
ho risposto che la legge consente una simile contraddizione e che non cè niente di
anormale. Vuole sapere in quali altri casi una procura ha richiesto l'assoluzione dopo
aver fatto appello conto il proscioglimento. Non mi viene in mente nulla.
Sono prudente, o meglio equilibrato, come direbbe chi apprezza i magistrati di una volta,
quando la giustizia non era spettacolo ed un processo come quello non ci sarebbe mai
stato.
"Perché inizialmente avete fatto ricorso in cassazione e non l'appello?".
Rispondo che quando la questione è puramente giuridica e non ci sono contrasti sulla
ricostruzione dei fatti, si fa prima a ricorrere direttamente in cassazione.
Ed a questo punto K., mentre si infila i pantaloni cercando di non bagnarli sul pavimento
ricoperto d'acqua, dice che "sul giornale voi avete detto il contrario e cioè che
avete convertito il ricorso per cassazione in appello per fare prima!". Vuole sapere
qual è la verità, ma io continuo a vestirmi senza rispondere. Mi sono stancato troppo
giocando e adesso sono chiaramente in difficoltà. Per un momento mi illudo che abbia
mollato la presa. E invece sta preparando l'affondo finale, quello decisivo: "Perché
non hanno mandato quei due in udienza?". Riempio il mio borsone di indumenti zuppi e
gli rispondo che non appartengo all'ufficio che ha fatto appello.
A quel punto K. si gira verso di me, ml toglie di mano la bottiglia dell'acqua, sorseggia
una volta o due volte e poi conclude: "Mi hanno detto che avevano chiesto di andare
in udienza e che potevano essere applicati all'ufficio che ha fatto appello. Per una
questione tanto complicata non era meglio mandare qualcuno che già la conoscesse?".
E poi aggiunge: "Ma è vero che quell'appello è stato richiesto dalla difesa degli
assolti?". Cerco di alzarmi e di uscire dallo spogliatoio. Prima che riesca ad
arrivare alla porta, K., dandomi del lei, come aveva fatto persino mentre giocavamo nella
stessa squadra, si alza in piedi a torso nudo, con la maglietta in mano e dice:
"Dottore, scusi se mi permetto, ma dove si è visto mai che un imputato assolto
chieda al pubblico ministero di fare appello contro la sentenza che l'ha prosciolto e,
soprattutto, dove si è visto mai che il pubblico ministero, a quel punto, l'appello lo fa
sul serio?" "Ti aspetto fuori alla macchina. Ti prego dammi del tu". Sono
finalmente in auto, da solo, e sto guidando. Penso che così si comporta un magistrato.
Riservatezza e imperscrutabilità. Bene. Sto migliorando. Anche se è evidente che ho
perso la stima di K. Non fa niente, mi dico, l'importante è non farsi nemici inutilmente.
Sto passando davanti al palazzo di corso Sicilia e si vedono le luci interne che
illuminano biancheria appesa ad asciugare. Fa un caldo bestiale. Lì dentro sl starà da
cani in cinque o sei per stanza. Ed in quel momento la vergogna ml sale su per lo stomaco
e diventa sudore, questa volta freddo. Mi calmo solo quando penso che la partita non è
finita e che la giocheremo sempre, come accade da tanti anni, nonostante i goal subiti.
E ovvio infatti che speranza e giustizia non moriranno certo per colpa di una
saracinesca davanti alla porta avversaria.
Michele Emiliano |