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Un lettore: diffusa dalle nostre parti una paura delle grandi dimensioni
Ma non tutti son economisti
Continua il dibattito su come ricucire la città al mare
Francesco Cafaro (Venerdì 16 giugno 2000)

Vorrei esprimere una riflessione sul recente clamore suscitato dalla querelle urbanistica di Punta Perotti. Premetto, poiché viviamo in una nazione in cui bisogna sempre premettere a scanso di equivoci, che potendo intervenire in termini legalmente corretti disporrei la demolizione immediata del complesso edilizio, poiché ne riconosco la matrice egoistica, tesa a "vendere panorami" più che a fare panorama" per la città, some testimonia la disposizione perpendicolare alla linea di costa. Premetto anche che non sono spinto a scrivere dalle superficiali dichiarazioni della verde Francescato che vorrebbe strumentalizzare in chiave odierna la questione, dimenticando 1'origine pluripartitica di quelle autorizzazioni. Mi preme piuttosto commentare 1'epiteto "ecomostro" con cui tanti, tra cui il parlamentare Vito Leccese, dipingono le future lottizzazioni della zona di Punta Perotti.
Sembra infatti che a concorrere alla definizione di un ecomostro sia non tanto 1'orientamento sbagliato o 1'architettura anonima ma essenzialmente la dimensione ("palazzoni e torri") ed il materiale della costruzione ("colate di cemento"). Mi permetto di suggerire tre spunti di riflessione:
1)Il dibattito sulla ricucitura del rapporto mare-città non può essere appiattito da criteri (alto e brutto, basso e bello) che diventano grossolani o fallaci se la loro applicazione non è circostanziata. La lunghezza del litorale barese consente di ospitare sia "distretti di severità e monumentalità" (comunque non anonime saracinesche) che parchi residenziali con ville immerse nel verde, sia grandi infrastrutture portuali che piccole cale naturali.
2) Mi pare diffusa dalle nostre parti una paura della grande dimensione, dell'imponenza di una costruzione, non giudicata in dipendenza di uno specifico spazio urbano ma come categoria estetica universale, Questa "metrofobia" probabilmente impedisce di considerare che la presenza di elementi architettonici "hard" nella down- town di un'area vasta può finanche esaltare, se il gioco di contrasti è anche dialettica tra reali cifre stilistiche, il valore degli ambiti "amèni e ridenti" presenti nella stessa area vasta.
3) Non esiste un solo modo al mondo di definire il "bello" architettonico ed urbanistico. Potrebbe apparire scontato, ma ciò non è sufficientemente presente alla coscienza collettiva nel delicato momento in cui Bari sta ridefinendo la propria identità, rischiando di non accorgersi del progetto stimolante di una bellezza "meticcia" che riesca a fondere atmosfere arabe ed anglosassoni. Bari non ha futuro se continua a piangere sulla mancata coerenza cromatica e formale, se continua a rincorrere affannosamente ideali di bellezza propri della città storica del Centro-Italia e del Centro-Europa. Dico tutto ciò, provocatoriamente, da non addetto ai lavori. Sicuramente gli accademici della nostrana Facolta di Architettura potrebbero dare contributi molto più significativi in merito alla tematica, ma non mi pare, al di là di pubblicazioni e congressi tra esperti, che facciano molto per sporcarsi le mani con 1'opinione pubblica e con il suo dissenso.

Franceaco Cafaro

 

 



 

 

 

 

 

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