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"Un atto di pacificazione se Comune e costruttori fanno un passo indietro"

Ha ragione l'ex procuratore generale De Marco a rivendicare la correttezza della sua richiesta di "convertire" in appello il ricorso del suo sostituto: questi, infatti, aveva dedotto un vizio di merito per ottenere la condanna degli imputati. Perciò appunto, tuttavia, ha sorpreso la condotta successiva di quell'ufficio: il quale dapprima ha rifiutato la disponibilità (normalmente gradita) dei sostituti della Procura presso la Pretura, che conoscevano a menadito il voluminoso incartamento, a sostenere l'accusa anche in appello; in udienza, poi, attraverso il suo rappresentante, dimentico del motivo della "conversione" per cui quel processo era stato riportato a Bari, ha chiesto l'assoluzione perché il fatto non sussiste (e i giri di valzer forse non sono finiti: il nuovo pg non esclude un altro ricorso).
In tal modo è venuta a mancane in appello la normale dialettica delle parti, le quali, anziché portare tesi in contrasto all'esame della corte, hanno tutte insieme argomentato in direzione della revoca della confisca, chiesta dagli imputati. Non che il pm non possa concludere a favore degli imputati, ma qui se ne é chiesta l'assoluzione dopo aver impugnato la sentenza per ottenerne la condanna ed avere per questo solo motivo ottenuto la restituzione del processo a Bari. E' come chiedere la rivincita di una partita persa con il minimo scarto e, ottenutala, risolverla a favore dell'avversario con un intenzionale autogol.
Evidentemente, c'è qualcosa che non funziona. Perché delle due l'una: o l'incoerenza è stata casuale, dovuta a divergenza di posizione dei sostituti e dei procuratori che se ne sono occupati in tempi diversi, oppure è stata consapevole e dovuta ad una linea concordata nell'ufficio. Nell'uno e nell'altro caso essa alimenta un senso di sfiducia. Nell'attesa di tempi di maggiore trasparenza e linearità il "mostro" è lì e per esso "Bari ignota" - per riprendere Armando Perotti - rischia di diventare tristemente nota ai mass-media. Visto, allora, che la generalità dei cittadini non lo apprezza, perché amministratori pubblici e costruttori non fanno un passo indietro? Si può sbagliare nel prevedere l'impatto paesaggistico. Non è reato, secondo la corte. Ma il diritto amministrativo conosce l'istituto della revoca della concessione: sarebbe un atto di pacificazione se l'amministrazione comunale si muovesse in questa direzione, magari con l'accordo anche sugli aspetti economici, degli stessi costruttori.
Il motivo della "rotazione" dei fabbricati era di far godere ai pochi proprietari di Punta Perotti la vista della città vecchia. Ma non si e pensato, diciamo cosi, che alla generalità delle persone si sarebbe in tal modo preclusa la vista dell'orizzonte, chiuso da una saracinesca. Non si può ripensare la cosa tutti insieme per consegnare alle generazioni future una città bella almeno quanto quella che ci hanno lasciato i nostri padri? In questo senso la sentenza restituisce spazio alla politica, dalle cui incoerenze e latitanze la questione era sorta.  

Nicola Colaianni
giudice della Corte di Cassazione

 

 



 

 

 

 

 

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